Lo scopo nello Zazen

Se chi fa zazen pensa “il mio zazen è diventato un buon zazen “oppure “ho raggiunto lo scopo dello zazen” di altro non si tratterebbe che di un modo di pensare, che finisce per allontanare dalla realtà dello zazen. Perciò, mentre è assolutamente indispensabile tendere, mirare al vero zazen, bisogna anche dire che non è assolutamente possibile la consapevolezza di averlo raggiunto. Perché una così strana contraddizione? Di solito, a questo mondo se c’è un tendere c’è, ovviamente, anche uno scopo; perché si “tende” proprio in quanto vi è un obbiettivo. Qualora si capisse che non c’è nessun obbiettivo, chi mai “tenderebbe”? a cosa? Questo, secondo il modo utilitaristico di pensare, secondo un comportamento calcolante.

Invece, ora, interrotto questo commercio, questo calcolo utilitaristico diretto ad altro da sé, io faccio solo io in me stesso. Zazen fa solo zazen in zazen. Semplicemente, il sé fa se stesso facendo se stesso. Gettar via proprio quel pensiero calcolante per cui se vi è un tendere deve esserci un traguardo: Questo è Zazen. Solo “tendere”, assolutamente senza la coscienza dell’obbiettivo. E’ una cosa da matti a pensarci con la piccola mentalità umana; nient’altro che una contraddizione…Ebbene proprio nel mezzo, nel centro stesso di questa contraddizione, semplicemente soltanto sedersi

Però, che senso d’incompletezza, di qualcosa che sfugge, si prova in questo fare semplicemente zazen! Può succedere di sentirsi completamente perduti, di non sapere più che fare. Ma è davvero quando succede così, che lo zazen è assolutamente meraviglioso!

Dal libro La realtà della vita . Zazen così com’è, a parole di Kōshō Uchiyama Rōshi

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